giovedì 11 aprile 2013

Lavatrail Lanzarote



95km 3500 D+

 6 aprile 2013     

 

Già da casa mi ero entusiasmato all’idea di correre su un’isola come Lanzarote.
Le immagini da satellite mi davano l’idea che fosse un paesaggio lunare, con crateri enormi di vulcani, e chilometri di piste desolate da attraversare.
Il bello è stato scoprire che non mi sbagliavo affatto.


 Arrivati con qualche giorno di anticipo sulla gara, ho modo di visitare l’isola, e di scoprire un territorio davvero eccezionale.
Distese di rocce vulcaniche, montagne dai colori più vari, rosso, nero, giallo, spiagge di sabbia bianca o nera, scogliere maestose sul mare, grotte di vulcani, crateri enormi, e orizzonti infiniti illuminati da una luce chiarissima.
L’emozione sale, e la voglia di correre pure.

Il giorno della gara la sveglia è alle 2:50 di notte.
Praticamente avrò dormito si e no un paio d’ore.
Raggiungo il luogo di raccolta, saliamo su un pullman e alle 4:15 circa siamo sulla spiaggia della partenza.
Gli italiani sono 6, compreso me, immersi in un vociare di lingua spagnola.
È buio, c’è vento, e i brividi per l’aria fredda si mischiano a quelli per l’emozione.

Alle 5:00 lo start.
Qualche applauso, e molta concentrazione: la Lavatrail Lanzarote è partita!
Le luci delle frontali, e l’abbigliamento riflettente vanno a colorare la spiaggia buia.
La sabbia compatta lascia spazio ad un lungo canalone disseminato di rocce.
Sin da subito la corsa non è semplice, e l’andatura non è alta.
Si affrontano le prime asperità, dove ghiaia smossa e roccia richiedono molta attenzione.
Sto bene e controllo la mia gara. C’è allegria ai ristori, e mi diverto a scherzare con le ragazze che urlano “Animo chico!” che a me sembra un po’ una presa in giro, ma va bene lo stesso.


Dopo due ore di corsa, comincia finalmente a vedersi la luce. Bene!
Rimango con uno spagnolo, che ha un tatuaggio del diavoletto del Timanfaya sul polpaccio.
Arriviamo alla spiaggia di Famara, dove il forte vento ci spinge da dietro e fa salire l’andatura a 4:30!
Forse troppo! Entriamo in una pista di sabbia compatta, dove per diversi chilometri l’andatura rimane alta.
Finalmente si sale, ma lo spagnolo rimane indietro.
La corsa è lunga e non voglio rimanere da solo. Lo aspetto ma è più lento. Niente.
Si entra all’interno dell’isola, su saliscendi un po’ sabbiosi. Ora il sole comincia a scaldare, e il vento non c’è più. Per fortuna i ristori sono frequenti, e mi permettono di avere sempre liquidi a disposizione.
L’andatura scende molto, e la fatica sale.

Al 50° raggiungo un altro spagnolo e ci perdiamo. Comincia la serie!
Ritrovato il percorso, ora si corre su lastroni neri di lava solidificata.
Fino all’80° rimango da solo. Attraverso in solitaria il centro dell’isola, girando attorno alle creste dei vulcani e seguendo delle piste di ghiaia nera. Non ci sono alberi, e il silenzio è totale.
Mi sembra di essere nella preistoria.
Mi fanno male le gambe, e soprattutto il ginocchio destro. Ogni tanto rallento e cammino, anche perchè perdo spesso la traccia. Il paesaggio è ipnotico.



Ad un certo punto non ne posso più, voglio la salita.
E negli ultimi infiniti 15 km avrò tutta la salita che desideravo…anche troppa!
Gli ultimi passaggi in cresta saranno durissimi per tutti, e il mio pensiero va a quelli che ci sarebbero passati di notte. La parte più tecnica infatti è alla fine, che sommata alla stanchezza delle gambe, significa dolori e rischio di farsi male. Affronto una discesa dove il sentiero non esiste, ci sono solo rocce a strapiombo, e continuo a guardarmi attorno per capire se non ho sbagliato. Purtroppo no, si passa da lì.

 In certi casi mi devo sedere sulla roccia, cercando di raggiungere con la punta del piede il punto più in basso. Il luogo non è sorvegliato, perciò cerco di non cadere in qualche crepaccio!
È pazzesco, gli organizzatori sono dei folli! E lì ne ho la certezza.
Per non parlare delle balise, che a questo punto della gara quasi scompaiono.
Mi oriento a vista, vedendo Playa Blanca in lontananza.
Finalmente raggiungo la pianura e comincio a correre felice verso la meta.
Anche gli ultimi 3 km saranno un po’ labirintici, ma oramai l’obiettivo è in vista, e il male alle gambe passa in secondo piano.



Gli ultimi metri li corro come un matto.
Arrivo con le braccia alzate!
Sento lo speaker urlare il mio nome, e l’emozione è fortissima.
11 ore e 15 minuti di viaggio da nord a sud di Lanzarote, mi merito una coca fresca e mi siedo all’ombra.
Gli stessi spagnoli che in corsa parlavano poco, quando arrivano ti abbracciano, ti chiedono com’è andata e ti fanno i complimenti. Sono tutti matti, ma io continuo a divertirmi in mezzo a questa gente.

Comincia la festa!

 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento