giovedì 26 luglio 2012

Cortina Trail.



Cortina trail: 46,2 km, e 2500 m di dislivello positivo.

30 giugno 2012.



Arrivati a Cortina ci accolgono le montagne, quelle vere.
Io che di montagne ne ho viste davvero poche, essere lì ai piedi delle Dolomiti è un’emozione gigantesca.

Il giorno del nostro arrivo, il venerdì, io e Federica ci dedichiamo al ritiro pacco gara, al relax con tanto di birra e passeggiata nel paese. A Cortina però c’è grande fermento perché quella sera stessa, alle ore 22:00 partirà la Lavaredo Ultra Trail (LUT), cioè la gara più dura, la 120 km!
La partenza della mia corsa invece, la Cortina Trail, è prevista per la mattina del sabato.
Dopo cena ci lanciamo al centro del paese per assistere alla partenza della LUT.
Sotto il gonfiabile dello start si stanno allineando i concorrenti, diverse centinaia di atleti, di ogni nazionalità, età e sesso. L’equipaggiamento di cui dispongono per superare i 120 km della corsa è davvero vario, ma ognuno sa che non gli è concesso dimenticare nulla, poiché tutto può diventare indispensabile. I primi ci impiegheranno 12 /13 ore circa, un tempo sovraumano, e poi a seguire tutti gli altri fino a tempi che sfiorano le 32 ore di percorrenza.

La LUT non è solo una corsa, ma un viaggio, un’avventura.
Guardando la luce che brilla negli occhi di queste persone, si può percepire la gioia, la tensione profonda verso il viaggio in cui si stanno proiettando.
Le tantissime lucine delle lampade frontali si radunano, e mi rammentano che gli atleti della LUT correranno le prime 6/7 ore nel buio della montagna, accogliendo l’alba durante la corsa.

La musica di Ennio Morricone carica l’atmosfera di un’emozione fortissima, e allo start si leva un urlo di liberazione. I trailer partono tra gli applausi e le grida delle persone radunate li attorno.
Sentiamo lo scalpiccio scomparire il lontananza, mentre mi immagino questo gruppo di corridori risalire la montagna, nel silenzio dei sentieri.


L’indomani mi sveglio all’alba, teso come una corda dall’emozione!
Mi preparo, cerco di ingurgitare la colazione, e scendo in paese accompagnato dalla mia fedele assistente.
Incontro subito Danilo e i suoi amici, ma è ancora presto, perciò scattiamo qualche foto e ci scambiamo impressioni e suggerimenti.
Vorrei rilassarmi, ma sulla linea di partenza la tensione è al massimo. La lunga attesa per questo trail si sta per spezzare ora, allo start.
Pacche sulle spalle, incoraggiamenti e in bocca al lupo.
La solita ma bellissima colonna sonora di Morricone.
Pronti….via! si parte!


Finalmente ci siamo, si spezza l’incantesimo ed è ora di correre.
I primi passi su asfalto sono gesti scomposti che non riconosco. Ma so che andrà meglio scaldandomi.
Tutto balla, dallo zaino agli occhiali, a Danilo che come sempre saltella a destra e  sinistra per fare foto e
dar battute. All’ecomaratona lo dovetti mollare dai primi chilometri, ma questa volta non voglio perderlo di vista! Finalmente si sale su un bel sentiero scorrevole, e senza forzare già sento le sensazioni che cercavo.
Le gambe frullano leggere e non c’è affanno. Danilo saluta tutti. Mi sembra di essere insieme ad un vip, tutti lo conoscono e lo chiamano a gran voce: “Mitico!”
Io continuo regolare e allo scollinamento mi accorgo che Danilo è dietro, e non lo vedo.
Decido di continuare regolare e di godermi il panorama, mentre la strada spiana.
Scambio due parole con chi mi affianca, ma rimango concentrato su quello che sto facendo.
Si comincia a scendere nel sottobosco, e mangio il primo gel. Si risale su un impegnativo costone di ghiaia, ma il panorama sulla vallata sottostante è di una bellezza unica.
Continuo regolare e ogni tanto chi mi precede mi lascia passare. Sono tutti gentili. Mi volto e capisco che Danilo è rimasto indietro, perciò faccio la mia corsa e basta.  Preferisco superare chi davanti a me usa i bastoncini, perché in salita me li vedo passare davanti la faccia e temo che qualcuno possa infilarmeli in un occhio. Bevo in continuazione e ogni 45 min un gel. Non ho nessun problema di fiato, anzi respiro che è una meraviglia. L’afa di Rimini è un ricordo lontano, insieme ai pensieri del lavoro.


Quassù corro e mi sento in pace con tutto e tutti, e soprattutto con me stesso.
Al ristoro di metà percorso (circa 23 km) ho le sensazioni giuste. Mi fermo poco, bevo e mangio qualcosa, e via. Si susseguono salite ripide e lunghe, e discese altrettanto difficili, ma le Dolomiti offrono una varietà di immagini e colori da riempirmi di forza e di serenità.
La fatica però non manca, ma all’ultimo ristoro, sentendomi ancora molto bene, decido di aumentare un po’ il ritmo. Dopo una salita di roccia davvero paurosa, scolliniamo su un pratone verde.
Rimango in estasi. Mai vista una meraviglia del genere.

Un sentiero stretto si stende lungo questo altopiano erboso, da cui spuntato qua e là delle rocce bianche.
Le gambe volano. Un piccolo ruscello costeggia il sentiero, e mi accompagna col suo leggero scorrere d’acqua. Ogni tanto salto una roccia, e sorpasso un concorrente a velocità doppia. Non posso rallentare, è troppo bello. Non sento più la fatica. Passo due signori vestiti allo stesso modo, che se ne risentono e cercano di seguirmi.
Inutile, cedono presto. Il GPS segna un passo di 4:30, e dopo 35 km di montagna non è male.
Si sale di nuovo poi si scende ancora a tutta verso un lago, da cui arriva una musica rock a tutto volume.
C’è un gruppo che suona e mi sembra pazzesco che dei musicisti siano arrivati fin lì a suonare… Come ad ogni punto di ristoro o dove s’incontra gente, gli incoraggiamenti non mancano, e mi sento ancor più forte.
Rimangono 6 km, ma saranno i più duri.
Si scende nel bosco, su un sentiero di una bellezza disarmante. Sono da solo, ed è la prima volta dall’inizio della corsa, per cui tengo d’occhio i segnali perché non sarebbe simpatico sbagliare sentiero e perdersi.
La traccia diventa un inferno di scalini di roccia e di radici insidiose che mi costringono a rallentare.
La discesa in queste condizioni diventa durissima e devo fare uno sforzo di concentrazione pazzesco.
Un occhio alla ricerca della striscia che indica il percorso e uno al punto migliore su cui appoggiare il passo successivo. Poi arriva! Sasso smosso, e distorsione. Lancio un urlo e mi getto a terra.
La caviglia non ha tenuto e si è girata su se stessa, ma non sento male. La tocco e la muovo ma non mi comunica niente. Cerco di capire se c’è qualcosa, dato che la mia soglia del dolore potrebbe essere un po’ imprecisa per via della stanchezza. Ma nulla. Felice mi rimetto in piedi e riparto con ancora più attenzione.

Finalmente si esce dal bosco, e si prende una strada bianca. Fa un caldo pazzesco e mi sento bollire la testa. In un passaggio tra alcune case una signora mi getta addosso dell'acqua, e io la ringrazio immensamente.
Ma ormai è fatta, sono sotto il paese.
Una scalinata e vedo il corso centrale, quello dell’arrivo.
Salgo e giro l’angolo. Esplode una gioia enorme che mi fa volare verso gli ultimi metri!
A braccia alzate chiudo una corsa meravigliosa, e subito vado a baciare chi mi aspettava all’arrivo.


Un’esperienza di 6 ore e mezza di corsa in montagna, che mi sembra volata in un baleno, ma che con la mente ancora oggi posso ripercorrere metro dopo metro. Soddisfazione e felicità immense. Sentirsi vivi in questo modo è qualcosa di meraviglioso.


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